Ci siamo riusciti, come tutti gli anni anche questa volta cerchiamo di non farci mancare il paradiso della montagna e ci siamo
regalati un’altra settimana alpina all’insegna delle Dolomiti. Come da consuetudine, ad ogni occasione, ci spostiamo di zona
per conoscerle un po’ tutte, stavolta per ottimizzare gli spostamenti previsti dai nostri progetti, forse un po’ troppi, abbiamo
scelto per base San Leonardo, una frazione di Badia, è centrale rispetto alle mete che ci siamo dati.
Quello di oggi è il racconto semplice ed emozionante, almeno per noi, della prima escursione della settimana, riduttivo ridurlo
ad una cronologia di passi e ad una sequenza di rocce e verticalità; il racconto di oggi è il resoconto di una la giornata particolare ,
emotivamente carica, un vero tuffo nella storia, un toccare con mano i tanti episodi, i tanti momenti storici che su queste montagne
hanno contribuito a formare l’Italia di oggi; è il racconto di una visita itinerante ad un museo a cielo aperto (non sempre).
Iniziamo la settimana dolomitica sul Pizzo Lagazuoi, siamo sulle Dolomiti ampezzane,
Da Badia prendiamo verso il Passo Falzarego, attraversiamo San Cassiano ed in una ventina di minuti siamo al passo Valparola.
La giornata è un po’ nuvolosa ma l’orizzonte è vasto lo stesso, ad ogni tornante la cartolina si allarga, ci sovrastano pareti
ripide che sembrano doverci cadere addosso, poi guglie e creste prendono a dare forma e delimitare l’orizzonte, la valle si
incassa sempre di più, diamo i primi nomi alle cime che pensiamo di riconoscere o almeno ci illudiamo di riuscirci, le informazioni
visive sono di più di quelle che riusciamo a trattenere e la vita che era fino a ieri è già appannata, la giostra ha preso a girare,
benvenuti bimbi, il divertimento è appena iniziato.
Parcheggiamo accanto al museo militare di Passo Valparola, appena un chilometro e mezzo prima del Falzarego, il sentiero Kaierjager
(il sentiero dei Cacciatori imperiali) che abbiamo scelto per salire al Lagazuoi parte sul versante opposto del museo, non c’è un
cartello e nemmeno una palina, ma è evidente la traccia che sale traversando, non rimane che partire.
Il costone ripido del Lagazuoi si alza repentino a poche centinaia di metri, minimo è lo sfasciume che cala dall’alto e molto è
ricoperto di vegetazione bassa, prati per lo più, rocce erranti sparse qua e là, il sentiero traversa in questo ambiente discostandosi
lentamente dalla strada, dopo qualche avvallamento e qualche dolina si alza e traversa un fiume di sfasciumi, per confluire poi più
in alto in profonde trincee, i primi brandelli tangibili della storia che stiamo cercando.
Ci infiliamo dentro questi profondi “solchi”, muri a secco li contengono, sicuramente frutto di un restauro più o meno recente che
nulla tolgono al fascino e alla suggestione dell’insieme.
Si alzano e si abbassano insieme al pendio della montagna, scorriamo a fianco di resti di una costruzione appoggiata ad un grosso
roccione, la roccia di certo è servita a risparmiare una parete della costruzione ma soprattutto a difenderla dalla pioggia di
bombardamenti che cadevano dall’alto, dopo capiremo il perché. Superata la diruta costruzione un bivio separa il sentiero, prendiamo
il tratto alto che inizia a salire con maggiore insistenza, supera con svariati tornanti un primo pratone più ripido fino a congiungersi
con la traccia principale che arriva dal passo Falzarego che nel frattempo iniziamo a scorgere ad Ovest. Ora la salita inizia a farsi
sentire, il pendio si alza su una formazione detritica che sa di deserto o di luna, l’ambiente si fa tipicamente dolomitico e solo i
frequenti tornanti sapientemente tracciati permettono di riprendere fiato; solo dopo, a casa, ho potuto leggere che quel cono repentino
a sassoso che si alza con maggiore violenza rispetto al prima e al dopo non è del tutto naturale ma è in parte ciò che risulta da immani
crolli di parti della montagna provocati e voluti dagli austriaci per contenere e respingere le truppe italiane.
Occorre descrivere brevemente la scena di allora per capire meglio il teatro dove ci troviamo; siamo negli anni della prima grande guerra,
sulle creste e sulla cima del Lagazuoi erano arroccati gli austriaci, posizione privilegiata e comoda sicuramente ma non abbastanza, tanto
che gli Alpini italiani la contendevano dal basso, dalla larga sella che sta tra i passi Valparola e Falzarego, dalle trincee che avevamo
appena percorso e successivamente, lo vedremo più avanti, dalle postazioni arrampicate sul fianco della montagna lungo quella che è
chiamata cengia Martini. Gli austriaci quindi in alto a bombardare verso il basso, a far crollare la montagna addosso agli italiani che
erano arroccati in basso e gli italiani sotto a contenerli e a provare di scalzarli; altro che guerra di posizione come tante volte era
stata definita, guerra delle mine è stata definita.
Torniamo alla nostra giornata; siamo sul cono detritico che si eleva verso i costoni e verso quella grossa spaccatura, un grande ghiaione
che si alza compatto verso un ampio canale molto evidente nel bel mezzo della lunga parete; i tornanti e si avvitano l’uno sull’altro
contenuti da travi di legno che gli impediscono di franare a valle. Mentre ci avviciniamo alla parete si fa evidente quello che dal
basso non lo era affatto, il ponte di una quindicina di metri che traversa quel canalone e su cui passa il nostro sentiero, su molte
relazioni viene definito un ponte tibetano ma di fatto è un ponte vero e proprio, travi di ferro sostenute da cavi di acciaio formano
una ferma passerella che agevolano il passaggio della profonda rientranza. Ancora prima va superata una forcella che sale ripidissima,
è formata da una serie ravvicinata di gradoni contenuti da travi di legno e sancisce l’inizio del tratto attrezzato, L’avvicinamento
termina, ai piedi della ripida forcella, se non fosse per i gradoni potrei definirla quasi un largo camino, ci imbraghiamo e indossiamo
il casco, ci siamo.
Iniziamo a salire, chi ha le gambe corte inizia subito a soffrire, un salto di una cinquantina di metri ci porta sulle prime cengie,
larghe e in alcuni momenti esposte, per chi ha passo sicuro ed è avvezzo a questi ambienti non rappresentano un problema, aggirato uno
spigolo si para davanti il ponte, fermo come fosse disteso su un tratto continuo di roccia eppure sospeso una ventina di metri ed anche
di più nel vuoto, Leggerò nelle tante relazioni che descrivono questo percorso che la posizione è esattamente quella dell’antico ponte
disposto dagli Alpini, la fattura è decisamente sicura e moderna tanto saldamente è ancorato alle pareti e sostenuto da una serie infinita
di cavi di acciaio.
Oltre il ponte il tratto attrezzato della cengia è breve ma è quello forse più esposto dell’intero percorso, stretta, in un breve tratto
parzialmente franata, sempre ben assicurata sale con maggiore dislivello e ci porta su un grande terrazzo dove il sentiero appoggia,
scivola accanto ad una prima corta galleria che non è necessario percorrere se non per curiosità e facilmente si consegna all’ultima
salita prima della cresta sommitale.
Inutile dire che i panorami si fanno sontuosi, si aprono verso le dolomiti ampezzane delle Cinque Torri, dell’Averau, della Croda del
lago, del Sorapis; a fianco della traccia vecchi fili spinati arrotolati, reperti arrugginiti di infrastrutture difensive a tavolacci
riportano a più meste ed intime emozioni. Superato il grande terrazzo il sentiero con qualche ampio tornante si riavvicina alla parete
ed inizia a traversarla e a scivolargli accanto su quello che altro non è che un ampissimo, a parte breve tratti, cengione, qualche tratto
scalinato artificialmente, qualche breve tratto più ripido ed esposto, lentamente si sale e si raggiunge la cresta dove si svalica.
La vetta del Lagazuoi è a poche centinaia di metri verso Ovest, è facile individuarla dalla folla da stadio che la attanaglia
(va ricordato che la funivia che sale dal passo Falzarego arriva solo cinquanta metri sotto la vetta sul versante opposto e dista appena
duecento metri lineari). Molto più affascinante una volta raggiunta la cresta, dalla parte opposta dell’ampio vallone che scende dal
Lagazuoi, la vista del muro di roccia che si alza repentino e continuo, dalla cima Scottoni a Punta Berrino, un muro di roccia con varie
selle brecciose e strettissime che sembrano chiamare l’avventura.
Raggiungiamo in leggera salita e ormai tra la folla la croce di vetta, con tanto di Cristo crocefisso, accanto un manufatto scultoreo, i
resti di una ogiva principalmente, ricordano sempre e riportano ai momenti storici che si sono consumati su questa cima.
Scendiamo verso il rifugio, il panorama è sontuoso quasi a 360 gradi, oggi purtroppo un po’ corrotto dalle nubi scure e minacciose che
negano molte delle importanti vette intorno.
Al rifugio Lagazuoi riusciamo a trovare posto all’interno, fuori la temperatura sta velocemente precipitando, vista l’ora che si è fatta
ci lasciamo andare al primo piacevole e atteso contatto con i sapori alto atesini, dopo aver rinfrancato lo spirito è doveroso rinfrancare
pure la carne. Non potrebbe essere altrimenti.
Riprendiamo il percorso dopo un’apoteosi di fotografie, le nubi si sono un po’ alzate, non posso mancare qualche panoramica di questo mare
di montagne, aiutato da locali ho provato a memorizzarne i nomi e mi sono riproposto una volta a casa di riportarli sulle foto, Vediamo che
porcata sarò capace di fare.
Scendiamo fino a raggiungere l’arrivo della funivia, accanto e proprio sotto la stazione, un cartello molto chiaro indica l’imbocco del
sentiero che porta alla ferrata galleria del piccolo Lagazuoi, non è l’unico percorso per rientrare a valle, chi non vuole cimentarsi nel
lungo tunnel può raggiungere la forcella del Lagazuoi sotto il Punta Berrino attraverso il sentiero 401 e continuare col 402 fino al
Falzarego; il primo tratto sotto la stazione è formato da brevi e ripidissimi tornantini, quasi delle ripide scale rocciose assicurate
da cavo e che fanno guadagnare metri velocemente fino a raggiungere l’ampia e spettacolare cengia che conduce sul filo di cresta del
piccolo Lagazuoi, qui le trincee che si percorrono sono le antiche postazioni austriache, altri fili spinati, altri tavolacci, altra
storia che ci scorre davanti e ci scuote l’anima.
La sottile cresta, su cui è stata ricavata la lunga e profonda trincea traversa verso Ovest e raggiunge la cima del piccolo Lagazuoi,
l’aggira per un breve tratto fin tanto che su un piccolo spiazzo affacciato sul passo Falzarego ed esposto nel vuoto si apre, protetta da
una facciata in legno l’imbocco della galleria. Una galleria particolare, non un riparo, non un rifugio per qualche postazione bellica,
una vera e propria opera ingegneristica del tempo. Spieghiamola un po’ per far entrare chi legge nel contesto del luogo e del tempo.
Avevamo già figurato le truppe austriache sulla cima del Lagazuoi e sulle sue creste, avevamo posizionato gli italiani arroccati sul passo
alle falde della montagna e avevamo anche anticipato un successivo arroccamento, sempre degli Alpini sulla cengia Martini (prende il nome
dal maggiore degli Alpini Ettore Martini), una lunga, protetta e sinuosa cengia qualche centinaio di metri sotto la vetta della montagna.
Dalla cengia gli italiani avevano un efficace controllo sul passo e rappresentavano una vera spina nel fianco per le truppe austriache
asserragliate in alto, da li riuscivano a fargli passare lunghi momenti insonni e poco tranquilli. Al maggiore Martini venne in mente di
poter offendere con più efficacia le postazioni nemiche costruendo una galleria nella roccia per salire fino al piccolo Lagazuoi e da qui
poter avere finalmente un confronto alla pari con le truppe nemiche. Dalla base della cengia gli italiani iniziarono a costruire una
galleria quasi verticale, elicoidale, ogni tanto una finestra verso l’esterno serviva come presa d’aria ed altre più piccole per far
espellere il materiale scavato; sono saliti per circa duecento metri, via via che scavavano ponevano o scolpivano gradoni, qualche vano
logistico per le attrezzature da scavo e quello che sembra ancora oggi un’opera pazzesca divenne realtà.
Dalla galleria il 20 giugno 1917 uscirono nei pressi dell’anticima del piccolo Lagazuoi e fecero brillare sotto di essa più di 32.000 chili
di esplosivo, occuparono ciò che ne rimaneva conquistando così una parte alta della montagna; Il cratere provocato da quest'esplosione è
tuttora individuabile. Era una delle tante operazioni belliche di quella che è stata definita la guerra di mine; per capire ancora meglio
cosa si intende per questo modello di guerra, ma anche se ci si riesce ad immaginarlo, solo un mese prima, il 22 maggio 1917, gli austriaci
minarono e fecero saltare in aria una parte della parete del Lagazuoi alta 199 metri e larga 136 proprio sopra la cengia Martini.
Inutilmente, perché nonostante ciò le posizioni italiane sulla cengia non vennero abbandonate (i detriti di questi crolli fanno parte del
cono ghiaioso e roccioso su cui si alza il sentiero Kaiserjager!).
Eravamo all’imbocco della galleria sotto l’anticima del Piccolo Lagazuoi, oggi la seguiamo in discesa, davvero consigliabile percorrerla
in questo senso vista la sua verticalità e i tanti innumerevoli gradoni da cui è composta.
Prendiamo a scendere la galleria, l’ambiente è ovviamente buio, ogni tanto qualche apertura fa filtrare luce ed offre scorci suggestivi e
mozzafiato verso l’esterno, diversi tratti sono completamenti al buio, indispensabili sono le torce, più di una ancora meglio, ed il casco
per pararsi dagli inevitabili colpi al soffitto. L’ambiente è ampio, la galleria alta, tranne qualche piccolo tratto più angusto; dove scende
ripida è continuamente assicurata da cavo d’acciaio, non occorre legarsi ma tenersi si, l’umidità e i continui stillicidi rendono i gradoni
bagnati e scivolosi.
Un paio di volte la galleria esce allo scoperto e rientra poco dopo, scende per un dislivello di circa 200 mt. ed esce definitivamente nei
pressi delle cengia Martini. Non possiamo esimerci dal visitarla.
Si sale una scaletta e subito una stretta cengia anche un po’ esposta ma attrezzata con cavo alla parete fa intuire come continua il
percorso; indossiamo l’imbrago non conoscendo cosa avremo davanti, superiamo un paio di spigoli che sporgono, la parete piega anche
negativamente per cui rimaniamo appiccicati come ragni poi la parete si apre, il sentiero sale e scende scontornando la montagna,
l’ambiente diventa repentinamente verticale ed incassato in una gola sa splendidamente di montagna dura, per poco meno di un chilometro
proseguiamo su una cengia che si allarga e si restringe, sale e scende continuamente, qualche piccolo salto e qualche tratto sconnesso
ma per fortuna più largo, un profondo tetto fa scorrere il sentiero come si fosse in una grotta aperta, un riparo fantastico se pensiamo
agli austriaci che minando la parte alta della montagna facevano crollare intere pareti; riusciamo ad intuire come avessero fatto le nostre
truppe a resistere su questo avamposto.
Sono stati ricostruiti in alcuni piccoli anfratti i dormitori, i vani delle cucine, è come ripiombare indietro nel tempo, l’austerità
che vivevamo ora doveva essere niente rispetto alle condizioni che hanno vissuto i nostri militari cento anni fa.
La cengia Martini termina su uno sperone sporgente, anzi non termina, un sentierino lo aggira e dovrebbe, il condizionale è d’obbligo,
aggirarlo. Non avevo informazioni sulla continuità del sentiero, solo sulla carta una traccia incerta faceva chiudere la cengia su quello
principale da cui eravamo saliti; il desiderio di andare a guardare oltre si è fermato nei consigli di alcuni bergamaschi che abbiamo
trovato sul posto che ci hanno sconsigliato di andarci a trovare impiccati sulle verticalità che c’erano oltre. Oggi mi pento di non aver
buttato il naso oltre lo spigolo.
Ritorniamo indietro per la via dell’andata, la suggestione del luogo è immensa, la montagna ora è secondaria nei confronti del rispetto
che proviamo per gli uomini di allora, era come percorrere un sacrario. In un anfratto, protetto sotto un tetto sporgente c’è ancora un
lavatoio del tempo con l’effige del battaglione degli Alpini, assolutamente incredibile ed emozionante. Si ritorna all’imbocco della
galleria, per un breve tratto la si riprende e dove inizia a salire, sulla destra, si devia e si ritorna all’aperto; da qui per una
ulteriore cengia anche questa attrezzata, in alcuni tratti è molto esposta ma sempre sicura e facile, si scende continuando ad aggirare
il costone ancora verticale. Scale rocciose artificiali, cengie facili ma esposte, ancora una piccola galleria, per un bel tratto si rimane
in un ambiente tipicamente dolomitico di alta montagna poi dopo l’ennesima breve galleria ed una stretta gola si intercetta il sentiero 402
che scende dalla sella del Lagazuoi. Rimangono una serie (infinita) di stretti e lunghi tornanti che si avvitano uno su l’altro, il sentiero
quasi artificiale e sostenuto da travi di legno perde quota lentamente per poi dirigersi con lunghi traversi ed in basso di nuovo nel mezzo
di una selva di pini Mughi, verso il passo Falzarego.
Senza raggiungerlo scivoliamo verso destra, una palina indica di nuovo il sentiero dei Kaiserjager, prima immersi nei mughi, poi alzandoci
su un terreno pietroso verso il cono detritico ai piedi del monte, stiamo richiudendo l’anello, ritroviamo le trincee sopra la sella, le
percorriamo tutte fin tanto che il versante non riprende a scendere verso il passo di Valparola, ritroviamo il sentiero percorso la mattina.
Sguardi nostalgici li rivolgiamo verso le poderose parte del Lagazuoi alla ricerca della traccia salita, tutto inutile come sempre, a parte
le svolte sul cono detritico solo il ponte sospeso si riesce a scorgere dal basso.
La testa rimane piena di montagna, di roccia, di cengie e di moschettoni che si serrano sul cavo, ma soprattutto di emozioni antiche, un
pezzo di quello che siamo è su quelle montagne, Indipendentemente dal colore a cui appartiene la nostra fede politica non è possibile non
provare a pensare almeno con la fantasia quello che possono aver vissuto i nostri Alpini e gli uomini dell’esercito austriaco su quelle
rocce; i sacrifici, le sofferenze, la fatica, fisica e morale, le paure di non venirne fuori, il tempo in certi momenti, soprattutto
quelli invernali, immobile, il freddo, la fame… e la fede che li ha sorretti, la fede di avere un motivo valido per così tante sofferenze
e quella di essere nel giusto insieme alla fiducia di farlo per costruire un mondo migliore.
Intensa giornata di montagna, una delle più belle di sempre.
Un’altra nota che vale la pena citare è la sbornia di fiori che mi ha accompagnato per tutta la giornata, fatta eccezione per i momenti
vissuti al buio dentro la galleria; una sbornia autentica di colori, di forme, fiori che ritrovo spesso sugli Appennini e fiori che ho
visto per la prima volta, le stelle alpine e alcuni fiori di cui ancora non conosco il nome. Qualcuno lo riporterò nella galleria fotografica,
i più coloreranno le mie cartelle e le mie storie, nonché i miei ricordi. Siamo solo all’inizio della nostra settimana dolomitica, come si
dice in questi casi, e su queste montagne è più che mai appropriato, è stato un vero inizio col botto!